Uno specchio-armadio al centro della scena è l’elemento attorno a cui ruota lo spettacolo di teatrodanza Come un bambino abbandonato nello specchio dell’armadio di Patrizia Cavola e Ivan Truol, liberamente ispirato dal romanzo Diario di un corpo di Daniel Pennac.
Uno dopo l’altro i sette performer irrompono sulla scena, ognuno con la sua gestualità peculiare, ognuno col suo modo di ri-flettere non solo le proprie sembianze fisiche ma soprattutto l’immagine di se stessi. Davanti allo specchio – sorta di autocoscienza – ammiccano alle proprie imperfezioni, toccandole, deformandole, mettendole in risalto, studiandole per esorcizzarle. Ogni corpo ha caratteristiche che lo rendono speciale, ma al contempo tutti i nostri corpi possono essere ricompresi in quell’ironico elenco di parti come sedi e motori di sensazioni e stati d’animo, in un preciso meccanismo che alterna esperienza singolare e universale, rappresentato attraverso il continuo avvicendamento di assoli e situazioni corali sincrone. La parola, che sia di uno dei performer o della voce fuori campo, è dialogo interiore che esplicita l’evoluzione dei gesti e delle scene. Sbilanciamenti, cadute, brividi, solletico sono esercizi motori ed emotivi che consentono ai performer di riappropriarsi dei loro corpi riuscendo, tolti i costumi, finalmente a guardarsi ed a interagire soltanto a pelle.
L’indagine della Compagnia ATACAMA si dipana per contrasti: la catena di piccolezze, paure, fobie umane è controbilanciata dal circo di esibizioni giocose e prodezze del corpo che viene condotto ad essere vero e proprio corpo-teatro, scatola da cui possono uscire infinite meraviglie. L’armadio-specchio è la soglia da attraversare per arrivare a questa consapevolezza, meglio se in solitudine, quando a guardarci c’è soltanto il bambino che vi abbiamo abbandonato dentro.
Ludovica Marinucci
Nucleo Art-Zine