Galleggio, Annego, Galleggio di Valentina De Simone

Si può annegare nell’esistenza. O provare a rimanere a galla, tra correnti che smuovono superfici increspate di possibilità da rischiare, se assecondate, tra mulinelli di precarietà da aggirare, con virate decise, tra maree che ritornano puntuali a regolare gli alti e i bassi di un’umanità febbricitante. Ma che non ha rinunciato alla vitalità, sorpresa nelle armonie affidate al caso, sospesa nelle intenzioni celate al buio, sottesa nel sorriso che è sapere impastato alla creatività di parole pronunciate nel corpo. Nella variazione di braccia che si rinserrano nel vuoto, nell’evoluzione di gambe che saltano il fondo, nella pulsazione di fiati che modellano visioni.

Fugaci e di inaspettata bellezza, quelle che la Compagnia Atacama racchiude nel catalogo immaginifico di uno spettacolo sottile, per la poesia impalpabile che lo alimenta, mistico, per la congerie filosofica che lo sostiene, ricercato, nella risoluzione compositiva di quadri, avvicendati sulle musiche originali degli Epsilon Indi, sodalizio ormai consolidato. Una partitura di sonorità elettroniche e sperimentali che magnetizza i gesti, coreografati da Patrizia Cavola e Ivan Truol, e li trasferisce in combinazioni innestate da anatomie in movimento.

Dentro la circonferenza di luce del palco, sotto la parete sfavillante del fondale, quattro danzatrici, Valeria Baresi, Anna Basti, Ilaria Bracaglia e Cristina Meloro, più uno, Marco Ubaldi, esplorano la fluidità di stimolazioni opposte, l’estemporaneità di voci non corrisposte, l’emozione di accordi sperimentati e poi abbandonati, alla ricerca di altri. C’è una coralità che sorprende in questo “Galleggio, Annego, Galleggio”, una complessità non finita, e di certo, indefinita di accenti che si contrappuntano con autonomia, nella melodia immersiva di quell’attimo, che ha la durata di una vita.

Valentina De Simone (29)

La Repubblica.it Roma

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