… accade anche di ridere nell’assistere a tre danzatrici che parlano tra loro una lingua sconosciuta, vagamente onomatopeica, piena di carica espressiva e gestualità del corpo, che ci ricorda quanto siamo tutti uguali in fondo: si litiga e si gioisce per le stesse cose, semplici e piccole … In un susseguirsi di soli, duetti e trii le tre danzano insieme e da sole senza intaccare la sfera della personalità l’una dell’altra, nonostante la fisicità del contact le renda alla vista una sola entità, un solo corpo che si muove nello spazio.La bellezza delle tre culmina nella scena finale, che riassume e mette a nudo non solo la donna con tutte le sue accezioni, ma, di nuovo, la diversità delle tre donne in scena, che poi saremmo tutte noi. In questa scena intensa e carica di espressività, pur rimanendo nel semplice, una danzatrice alla volta entra sulla scena e si leva i vestiti; li poggia a terra fino a quando non resta in culotte e reggiseno color carne e poi, immobile, guarda il pubblico, ferma in piedi con i palmi delle mani rivolte verso il pubblico. Non c’è confessione più spassionata, dolce e sincera del denudarsi in questa maniera. Ancor di più perché dopo si rivestono l’un l’altra ed è commovente come si prendano cura l’una dell’altra nell’infilarsi i vestiti. Amorevolmente, come solo una madre, una sorella, un’amica, una figlia possono fare. Come solo una donna può fare.
Audrey Quinto
Teatri di Cartapesta